Ti do la mia parola: la Repubblica Bolivariana del Venezuela alla 56° Biennale di Venezia.

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la Repubblica Bolivariana del Venezuela è presente alla 56° Biennale di Venezia con due artisti: Argelia Bravo e l’artista di stada Flix. La cura di Oscar Sotillo Meneses impernia sulla parola la sintesi del confronto tra il lavoro dei due artisti e il pubblico, riproponendo il dialogo che si è propagato in Bolivia attorno alla proposta di costruzione socialista originata nella terra di Simon Bolivar.

La loro visione estetica ha origine dalla militanza nell’arte relazionale, nella sua funzione sociale condivisa e idealista che crede nei processi di cambiamento, che si radica nella fiducia di poter influire nei processi di appropriamento del passato con una visione partecipativa del proprio avvenire.

Le opere di questi due artisti sotto un solo titolo della mostra Ti do la mia parola, riconducono alle tipologie dei movimenti sovversivi della lotta rivoluzionaria, al riconoscimento dei generi e alla collaborazione attiva dell’arte urbana.

Come scrive il curatore Sotillo, ripercorrendo brevemente la storia del rapporto segno/parola: “La parola contiene uno spirito che, aldilà della sua presenza visiva, continua a irradiare suoni e concetti. Dietro ad ogni creazione artistica esiste un substrato testuale, che in alcune proposte diventa protagonista mentre in altre serve da struttura concettuale”. La parola e l’immagine come contesto riflessivo per due artisti che operano nel vivo delle loro realtà sociali di appartenenza.

Nel testo La sovranità corporale, la sovranità territoriale che introduce il lavoro di Argelia Bravo, la curatrice d’arte latinoamericana Carmen Hernández colloca nell’arte relazionale il lavoro di ricollocazione dei codici di genere e del corpo femminile degli anni novanta dell’artista. Abitudini e atti plasmati nei codici più intimi da strategie persuasive di consumo collettivo di desideri vengono contraddette e contrapposte in operazioni identitarie centrate sulla diversità di genere. Si ricordano anche le artiste Sandra Vivas, Sara Maneiro, Argelia Bravo, Gloria Fiallo, Doménica Aglialoro. “Dalla fine degli anni novanta, Bravo riorienta i suoi interessi verso la ricerca della diversità sessuale e, in particolare, verso la violenza subita dalle comunità di transessuali. Con il presupposto di arte sociale, Argelia Bravo crea ibridazioni a partire da alcune procedure di registrazione identitaria e costruisce metafore del corpo sociale, nella misura in cui i soggetti studiati rappresentano tutta una comunità che subisce le stesse situazioni di intolleranza. L’artista stabilisce determinate strategie di registrazione per elaborare una riflessione dal punto di vista artistico, con l’obiettivo di esercitare cambiamenti nell’immaginario collettivo sull’apprezzamento e sulla valutazione di questi soggetti condannati a vivere ai margini”.

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Le politiche locali e i transessuali, la guerriglia e le ricette locali, la condizione della donna e l’arte sociale: la sintesi iconica del passamontagna ricuce le tematiche e il contesto sociale recentemente storicizzato in America Latina, ma esportato globalmente come contro. “Con questo tipo di proposte, l’universo femminile viene riconosciuto come matrice di conoscenza e riproduzione dei valori culturali locali, in contrapposizione ai modelli di comportamento promossi dalle grandi multinazionali alimentari”. L’artista non come traduttrice e interprete, ma come mediatrice e attivista. In un lavoro viene testimoniata l’antica cerimonia di produzione del formaggio casabe, rivendicando una sovranità alimentare che rischia di essere privata dell’aspetto primordiale, rituale e terreno del suo stesso essere pratica alimentare.

Come sostiene Oscar Sotillo Meneses L’opera Si che ce ne frega!!! / ¡¡¡Sí nos importa el bledo!!! / Yes, we do care!!! di Argelia Bravo si sviluppa su due livelli: il video carico di patos e di ironia con slogan forti e corrosivi di donne guerrigliere e la staticità classica delle foto delle vergini cristiane: “Il femminismo, l’ecologia, la giustizia sociale, i meccanismi di dominio, la sedimentazione del patriarcato, sono denunciati da Bravo in un modo diretto ma carico di una formalità che a volte poetizza e a volta e colpisce i sensi”.

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Félix Molina, Flix, con i suoi lavori di street art introduce la possibilità di un’arte urbana nella Venezuela contemporanea. La città è concepita come agorà, insieme di strade e piazze, uomini e donne assieme ai contenuti condivisi. Un’utopia esplicitata dalla geometria che nei colori ritrova pulsione vitale sincera: non i primari, ma le tinte della bandiera del Venezuela. L’opera come luogo di contemplazione, ma che si compie solo nell’atto stesso di chi la guarda. Creando un luogo nell’urbe dove questo incontro accade. Impossibile ricostruire questa dinamica in galleria. Una garanzia del diritto di contemplare messa a disposizione in strada. Tutto questo slancio ideale prevede una grande fiducia nel prossimo, come in un atto di aggetto verso un futuro da vivere: in quest’ottica l’artista introduce la dimensione di praticabilità dell’opera legandola al contesto. In questo si può percepire la professione di architetto di Flix, la concezione della rete stradale non come vuoto rispetto agli edifici, ma come pelle riversa alle persone che vivendola la costruiscono tutti i giorni. Come sostiene Gonzalo Ramírez Quintero nel testo En Flix, l’artista attualizza la sua utopia nella geometria, oltre le influenze e le citazioni palesate dell’astrattismo geometrico: “Flix riconosce apertamente il suo debito nei confronti dell’astrattismo geometrico e con la cinetica. Cruz-Diez, Herbin, sono state presenze importanti nel processo di costruzione del suo linguaggio plastico. Tuttavia, non si tratta, nel caso di Flix, d’influenze passive per una ragione fondamentale: la sua azione cerca di geometrizzare quello che non è geometrizzabile”. Un lavoro che crea quindi un circolo virtuoso tra astrazione formale e concretezza quotidiana della strada, permeando di responsabilità sociale l’atto contemplativo nella dimensione esposta del riappropriarsi dello spazio urbano.

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Nel testo Ma-Jokaraisa Oscar Sotillo Meneses esplicita questa operazione di astrazione e riconversione: “Ma-Jokaraisa nella lingua Warao significa L’al- tro mio cuore ed è il modo in cui questa popolazione del Delta dell’Orinoco dice amico. Flix, a partire da questo concetto, che non appartiene alla sua lingua madre, compone un riferimento universale di affetto e benvenuto, di evidente tessuto semiotico e suggerimento sensoriale. Una canoa semplice, in legno, è percettivamente alterata da un tracciato geometrico, di un cromatismo primario ed esaltato. Ma l’essenza utilitaristica, la forma antica, l’evocazione che la canoa è e viene dal fiume, rimane ancora presente aldilà della decontestualizzazione realizzata”.

Da anni l’artista introduce con l’apporto ludico il suo dato visivo gli spazi urbani di Caracas e di altre città, districando nel groviglio gli elementi elementari del gioco e minimali del senso estetico. Per concludere con le parole di Sotillo: “I poeti sono una sorta di coscienza etica ed estetica dei popoli. Attraverso di essi, la parola che viene dalla vita di tutti i giorni e dell’anima prende forma e resta per sempre nella memoria”.

Alberto Balletti
foto di Manuel Lagarde tratte dal catalogo 
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