12.
Accosto la mia Uno scassata sul bordo strada, ad un metro dalla rete arancio-spavento di un cantiere fra i tanti che infestano questa pianura-autostrada. Solo pochi secondi liberatori aspergendo l’incontenibile liquido giallo caldo.
Non ho ancora finito, quando sento qualcuno affannosamente correre alle mie spalle. Tre nigeriane da un metro e ottantacinque, più zatteroni sotto i piedi, fuggono lungo la banchina. Improvvisamente si fermano: una di loro, la più navigata, le blocca e torna verso di me gridandomi in un italiano carnoso da labbra gonfie di adrenalina viola: “Passaio, passaio….”
Io mentre piscio con la testa persa verso il week-end sul lago, appena sbarcato da una settimana passata in treno, dallo spavento me lo risbatto nelle braghe ancora che spruzza, macchiandomi sulla gamba sinistra. Appena il tempo di mettere via tutto che la statua bronzea animatamente mi batte sulla spalla. “Angelo nero da quale cielo cadi in sto inferno di fonderie acri?” è il mio pensiero istantaneo. Lei urla “Molinetto… Molinetto,… passaio Molinetto…”. Dice ancora, mantra della ripetizione sparato turgido dalla sua bocca enorme, che mi ci farei mangiare come da un drago femmina. Dice: “Tu passaio Molinetto noi…”. E volo con la fantasia fra le sue gambe, inghiottito da un sussulto perverso: la sua paura mi eccita. Ansiosa ripete, perché vede le mie retine vuote: “Tu passaio Molinetto noi…”.
“No, io alla rotonda svolto a sinistra, direzione Salò”, urlo come se il tono alto potesse superare il gap linguistico.
Nella sua disapprovazione sento una punta di commiserazione, un disappunto che si riserva solo ad uno stupido che non è disposto a scambiare uno sputo di piombo con una manciata d’oro di luce: una delle tre avrebbe barattato il passaggio mangiandomi lo straccetto olivastro, “Bianco di merda…”, l’eco dei suoi occhi pensanti mi dice fra le labbra serrate e mute “…. Italiano fottuto”.
Svolto a sinistra alla rotonda per Salò, ricordandomi all’improvviso quando, tre anni fa, al distributore automatico di sigarette della Mandolossa, mi sono trovato in macchina due slave con rossetto sbavato sui denti che urlavano “Vai… Andare… Corri…” e due ombre uscivano di corsa dal vicolo buio urlando bestemmie in serbo, che se non avessi avuto le chiavi nel quadro ci avrebbero di sicuro preso.
Io sgommo sul viale e, dopo circa tre fermate di autobus, mi urlano ancora: “Fermare… fermare qui… fermare”.
Quasi inchiodo e il magnaccia perde a terra, davanti al mio paraurti, il mozzicone che gli pende dalle labbra. Loro due schizzano giù fra le sue braccia: una calamita tira di meno. Riparto veloce, ma non senza beccarmi un calcio sulla fiancata: il bastardo padrone di quella carne sbavata di sperma mi bomba la portiera… Oggi è tutta arrugginita quella botta che mi ha scrostato la vernice epossidica bianca ormai opaca di quindici anni di strada. E penso ancora che non mi hanno mica ringraziato, ‘ste due puttane del cazzo…
Da W.G. Sebald in Austerlitz
[…] l’oscurità non si dirada, anzi si fa più fitta al pensiero di quanto poco riusciamo a trattenere, di quante cose cadano incessantemente nell’oblio con ogni vita cancellata, di come il mondo si svuoti per così dire da solo, dal momento che le storie, legate a innumerevoli luoghi e oggetti di per sé incapaci di ricordo, non vengono udite, annotate o raccontate ad altri da nessuno.
i 20 racconti dal titolo “UNGROUND: MATERIALE ROTABILE venti_racconti_brevi_2003″
qui pubblicati fanno parte della Tesi di specializzazione discussa nel ottobre 2003
Università IUAV di Venezia – Facoltà di Design e Arti
Corso di Laurea Specialistica in Produzione e Progettazione delle Arti Visive (ClasAV)
titolo della tesi: BORDER LINE TRIP, viaggio tra letteratura e arti visive
Relatore:
Prof. Franco Rella
Correlatore:
Prof.ssa Angela Vettese