Lucia Veronesi: "Nel 2007 ho deciso di ripartire proprio da Venezia"

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A Venezia ci si può arricchire d’incontri con artisti provenienti da molti ambiti e da tutto il mondo. Venezia Art Magazine sta esplorando le arti visive con domande dirette agli artisti. Ecco come ci ha risposto Lucia Veronesi, incontrata alcuni mesi fa lavorando in commissione per la selezione della “98ma Collettiva Giovani Artisti” alla Fondazione Bevilacqua La Masa. La abbiamo contattata per farci raccontare dei suoi ultimi lavori e di come ha vissuto a Venezia in questi anni. E ci aggiorna sull’esperienza allo Spazio Punch, che ha fondato alcuni anni fa alla Giudecca. Non manca una sua impressione della 56th Biennale.

Ci parli del tuo lavoro, dall’interno della cultura contemporanea?

Lavoro con il collage, il disegno, la video animazione, con piccoli teatrini di carta: ma qualsiasi media io usi, sento la materia, sento il colore, è come se dipingessi sempre: la pittura è il punto di partenza, la base essenziale per il mio lavoro. Negli ultimi anni ho lavorato intorno al tema della disposofobia, dell’accumulo compulsivo di oggetti e alla conseguente radicale trasformazione degli spazi domestici. Questi, da rifugi sicuri e protettivi, diventano trappole. Qualche anno fa, gli spazi che rappresentavo erano invasi da oggetti accatastati come grandi barricate; successivamente ho raffigurato elementi esterni naturali che li invadono, come acqua, alberi, piante e rocce, e anche elementi surreali che entrano violentemente, distruggono, ricompongono e reinventano gli spazi. Mi interessa il momento della catastrofe, inteso come momento culmine della trasformazione. Costruisco piccoli set di cartone, dove colloco le silhouettes degli oggetti che ho ritagliato da riviste e foto: le muovo e filmo questi spostamenti in stop motion. Nella fase successiva, montando le riprese, alterno immagini bidimensionali a immagini tridimensionali, con un’ambivalenza fra la superficie e il volume: spesso la prima deriva dalla seconda e viceversa, in modo da evidenziare ancora di più la trasformazione dello spazio in un non-spazio. Questo si riflette anche nei collage e nei dipinti dove il contrasto tra le superfici, tra figurativo e astratto è la cosa che mi interessa di più.

Che importanza ha il tuo ruolo relazionale con l’ambiente dell’arte in generale e con gli artisti in particolare?

Sono arrivata a Venezia nel 2003, dovevo fermarmi un mese e mezzo ed è da dodici anni che vivo qui. In città non conoscevo nessuno. Ma poi ho scoperto che qui c’è una comunità di artisti molto vivace. Ho iniziato a frequentare i “Mercoledì degli artisti”, organizzati da Maria Morganti, artista milanese, che come me si è trasferita a Venezia. Si tenevano prima nel suo studio e poi a Palazzetto Tito, una sede della Bevilacqua La Masa. Sono proseguiti per dieci anni. Erano aperti a tutti gli artisti, senza selezione, ma con una restrizione molto rigida: esclusivamente ad artisti. Non potevano partecipare critici, giornalisti, curatori; non erano ammessi neanche amici o parenti interessati. La formula di quei “Mercoledì” era molto semplice: ognuno di noi poteva presentare la propria ricerca, o parlare di un lavoro in particolare, o di un progetto ancora non realizzato. Si aveva a disposizione un computer e un videoproiettore. Nessun incontro, volutamente, è stato registrato né ripreso. Era un momento che non doveva contenere nessun incitamento all’esibizionismo, ma solo uno scambio vero, in presenza, fra eguali. Per me è stata un’esperienza importantissima, mi ha permesso di conoscere tanti artisti, di confrontarmi ed “entrare” nei loro lavori. Quest’epoca, mi pare, tende a isolare gli artisti in tanti individualismi che si fanno concorrenza, ma nell’arte il confronto è la cosa più importante, e la facilità con cui questo può avvenire a Venezia mi ha sorpreso. L’atmosfera a Milano mi sembrava più chiusa; ero sicuramente anche più immatura, ma trovavo difficile relazionarmi con altri artisti. C’è da dire anche che Venezia è un città piccola, dove le relazioni, per forza di cose, sono più facili. Per me è stata una seconda formazione, dopo l’Accademia di Brera; anzi, la formazione più importante, se la metto insieme all’esperienza di lavoro che ho avuto in Biennale fino al 2007. In quegli anni però lavorare a tempo pieno non mi lasciava tempo da dedicare ai miei progetti artistici; così, nel 2007, si può dire che io abbia ricominciato da capo: non è stato facile (non lo è neanche adesso), ma ho deciso di provare a ripartire proprio da Venezia.

Ci puoi dire qual è la tua esperienza dal punto di vista dentro e fuori il “sistema” dell’arte e/o dentro e fuori l’Italia?

Il sistema dell’arte contemporanea italiano si basa su quanti anni hai: la maggior parte dei concorsi e le poche opportunità di borse di studio sono per i cosiddetti “giovani artisti”. Dopo i trent’anni (che è il momento, per molti, di una maggiore consapevolezza e maturità del lavoro) tutto diventa più difficile. Eppure non pochi artisti importanti del Novecento li ricordiamo per le innovazioni della seconda metà della loro vita: Rothko, Fontana, Louise Bourgeois… Aiutare i giovani è giustissimo: se solo ci fosse un sistema in grado di supportarli, incoraggiarli e sostenerli in maniera adeguata anche dopo… E invece, molti di loro dopo un lancio effimero e illusorio, vengono abbandonati e dimenticati. La mia impressione è che certe istituzioni, accademie, scuole, fondazioni, abbiano bisogno di mostrare che sfornano giovani di talento: li producono in automatico, a ogni anno accademico. Il loro metodo è: “avanti il prossimo”. C’è un feticismo tutto esteriore del “giovane artista”, mentre penso che bisognerebbe fare più attenzione alle opere nuove, ai lavori veramente innovativi, che non all’età di chi li ha fatti. Quanto all’estero, per la mia esperienza, fra residenze d’artista e festival di videoarte, mi sono sentita considerata come un’artista professionista, una persona che svolge un lavoro con un ruolo ben definito e riconosciuto nella società. Da noi è molto più diffusa l’idea del “volontariato culturale”.

Ci dici qualcosa dei tuoi progetti futuri?

Sto lavorando alla mia prossima mostra personale, in dicembre, da Yellow a Varese. È uno spazio fondato da Vera Portatadino, un’artista che dopo un’esperienza all’estero ha deciso di tornare nella sua città e di intraprendere questa nuova avventura. Affronterò il concetto di spazio e di trasformazione attraverso la pittura, ma saranno presenti anche fotografia e video. Sarà un lavoro dove il pubblico è invitato a “vivere” e interagire con lo spazio. Tra gli inviti recenti c’è una mostra collettiva a Milano a ottobre.

Riguardo il tuo lavoro di artista raccontaci in breve come ti relazioni con la città di Venezia

Venezia è piena di contraddizioni: è una città al centro del mondo dove ogni due anni il meglio dell’arte contemporanea si incontra, si confronta e discute. In tutti questi anni ho avuto modo di vedere mostre bellissime, spettacoli di teatro e di danza indimenticabili, assistere a concerti stupendi. Ma allo stesso tempo la città agli artisti, se si parla di gallerie di arte contemporanea, offre pochissimo: si contano sulle dita di una mano, il resto sono tutte gallerie con un target più commerciale. Esiste però una scena parallela: spazi alternativi e indipendenti molto attivi.

Per esperienza diretta posso parlare di Spazio Punch, uno spazio non profit con sede in Giudecca che ho fondato insieme ad Augusto Maurandi nel 2011. Ci affianca dal 2012 Saul Marcadent, un curatore molto attivo nel campo dell’editoria indipendente e di ricerca. Spazio Punch è nato per poter portare in città panorami alternativi e diversi non solo nel campo dell’arte contemporanea ma anche del design, della moda, della musica, dell’architettura, tutto con un occhio di riguardo verso l’editoria di ricerca. Grazie a Spazio Punch sono venuta a contatti con artisti, editori indipendenti, con molti giovani creativi pieni di energia e voglia di fare. Riusciamo ad organizzare poche cose durante l’anno ma cerchiamo di farlo con estrema cura, anche per quanto riguarda l’aspetto grafico e la comunicazione, affiancando alle mostre la produzione di piccole documentazioni o cataloghi, quando abbiamo la possibilità di realizzarli.

Fin dall’inizio abbiamo avuto un ottimo riscontro da parte di un pubblico non solo veneziano. Abbiamo collaborato con lo IUAV Moda, Arti Visive, con il Royal Fashion College di Londra, con curatori internazionali e artisti di grande fama, ma abbiamo anche collaborato con artisti giovanissimi, che per la prima volta si confrontavano con uno spazio diverso al di fuori dell’università. Abbiamo ricevuto richieste di presentazioni di nuove riviste indipendenti e organizzato incontri con maestri della fotografia ed editori affermati. Abbiamo presentato artisti internazionali che per la prima volta hanno esposto in Italia.

Punch è uno spazio vivo, ma deve fare i conti anche con l’affitto e le spese. L’idea iniziale era che lo Spazio si auto sostenesse grazie anche ai periodi di Biennale, dove Punch offre servizi logistici e di organizzazione di mostre: ora, a distanza di quattro anni, nonostante Spazio Punch sia connotato, conosciuto e sia fisicamente molto affascinante (era un magazzino delle Ex Birrerie Dreher), devo ammettere che sopravvivere e rimanere fedeli alla propria linea è veramente difficile. Con il passare degli anni, con la crisi economica e in una città come Venezia, dove i fondi per le istituzioni e i supporti per le iniziative culturali scarseggiano, è estremamente complicato riuscire a sostenersi e trovare degli sponsor che non siano solo tecnici. Senza un adeguato supporto economico è difficile fare una programmazione a lungo termine. Vedremo cosa ci riserva il 2016.

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Spazio Punch – veduta della mostra L’edicola, 2012

Una battuta sulla 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia

Sono fortunata: abitando a Venezia ho la possibilità di visitare ogni Biennale con molta calma, tornando a rivederla varie volte per dedicare tempo alle singole opere, meditandole al di là dello stordimento che può provocare l’impatto di innumerevoli cose ammassate in così tanti padiglioni.

Quest’anno però la mostra internazionale non mi ha entusiasmato. La scelta curatoriale di Okwui Enwezor l’ho trovata un po’ noiosa e scontata, priva di verve: c’è una prevalenza di artisti storici degli anni Settanta, mentre molti altri rivelano debolezze e cadono nella banalità del lavoro politico-sociale, dimenticandosi che l’arte è anche immaginazione. Certo, come sempre ci sono lavori che ti colpiscono per la loro forza: ho amato molto il video di Steve McQueen, un lavoro potente che va oltre il documentario e ci racconta la storia vera di un giovane pescatore morto a 25 anni. Tutto girato con l’estrema maestria di McQueen. Impossibile non lasciarsi catturare dal video di John Akomfrah che racconta il profondo e contrastato rapporto uomo-natura. Il video di Mika Rottenberg in Arsenale è sorprendente: la coltivazione delle perle è raccontata attraverso un universo surreale, psichedelico e ironico. Mi ha colpito molto il gigantesco autoritratto di un benefattore turco realizzato da Kutluğ Ataman: è costituito da migliaia di ritratti di persone che hanno lavorato con lui o beneficiato della sua generosità. È un enorme ritratto digitale che rimane sospeso sopra la testa degli spettatori. Tra i miei padiglioni preferiti ci sono la Polonia, la Serbia, il Lussemburgo e Cipro, ma il migliore per me rimane l’Australia, con una bellissima installazione di Fiona Hall. Quando sono entrata la prima volta, ho avuto la sensazione di essere dentro a “il” padiglione. Il lavoro ti avvolge, ti coinvolge: una grande Wunderkammer dove non puoi non perderti e rimanere incantata. Tutto ruota intorno a tematiche globali, come il sistema economico planetario e i problemi ambientali, ma la sua forza è l’immaginazione con cui affronta tutto questo. Fa degli ibridi impressionanti fra miti ancestrali e cronaca di oggi, fra riti aborigeni e tecnologia. Ci sono nidi di uccelli fatti con le striscioline di carta delle banconote, legni raccolti sulla spiaggia che sembrano animali, uniformi militari rielaborate e tante teche piene di idee per almeno sette mostre.

www.luciaveronesi.com

www.spaziopunch.com

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Combinazioni nostalgiche alla deriva nel cielo
7 fotografie stampate su carta Hahnemühle cotton /barita gr.310 – 22.5×30 ciascuna, 2015 – Installazione alla Sala delle colonne, Fabbrica del Vapore, Milano
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La mia posizione nel cosmo, 2014/2015
Collage e tecnica mista su carta e tela, pittura su muro, dimensione variabile 2014/2015 – Particolare dell’installazione all’Accademia di Belle Arti di Bologna in occasione della BG3 Biennale Giovani. Foto di Eduardo Festa
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Paesaggio senza titolo #5
6’25”, HD, 16:9, colore, muto – Frame da video, 2014
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La barricata
100 x 70 cm. Ed. 1/5 – Fotografia inchiostri ai pigmenti su carta Ilford galerie prestige gold- fiber silk-baritata 310 gr. montata su D-bond. 2013/2014

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Andante sospeso (la casa nella foresta)
2’ 50’’, HDV, 16:9 B/n, stereo – Musica di Scanner, Nemesis. Pubblicato da Chester Music – Installazione a Mustarinda, Finlandia, 2012
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L’inabitabile
11’16’’, HDV, 16:9, colore, stereo – musica di Roberto Di Fresco, 2012 – Frame da video
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Ho preso il mio orizzonte e l’ho spostato più in là
Collage e tecnica mista su carta, dimensioni variabili, 1/240 elementi, 2012