Finalmente (nascono) le Facoltà di Belle Arti

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Finalmente nascono le Facoltà di Belle Arti

Miriam Mirolla e Vita Segreto

13 novembre 2012

Una straordinaria opportunità storica si sta profilando in questi giorni nel Parlamento italiano: l’approvazione della legge che consentirà la trasformazione delle Accademie di Belle Arti in Facoltà universitarie di Belle Arti. In un Paese la cui storia è intessuta di movimenti e teorie artistiche, capolavori, invenzioni e brevetti, siti monumentali e complessi urbani che hanno profondamente influenzato e ancora oggi orientano l’intero cammino evolutivo del mondo occidentale, questa legge non è un dettaglio né la risposta a qualche desiderio corporativo.

Solo chi ha dimenticato le parole che nell’aprile del ‘47 risuonarono nell’Assemblea Costituente, “la Repubblica protegge e promuove la creazione artistica e la ricerca scientifica”, può ragionare in quei termini. Quelle parole si incarnarono in un preciso comma della Costituzione della Repubblica italiana, il sesto dell’articolo 33, e da allora Accademie e Università sono istituti di alta cultura che hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi. Nella relazione del ‘46, Concetto Marchesi aveva argomentato in modo esemplare il fine nazionale e sociale dell’arte e della scienza nel contesto della nascente Repubblica, il cui compito era di proteggerle e servirsene lasciando che si sviluppassero in piena libertà. Affermazioni di portata e lungimiranza straordinarie, che ribaltavano il paradigma gentiliano che aveva invece confinato la formazione superiore artistica e le otto Accademie regie (Torino, Milano, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Palermo) in un mondo autre: né scuola né università.

Negli anni della Prima Repubblica, tuttavia, il piccolo prezioso mondo delle Accademie di Belle Arti (elettoralmente irrilevante) rimase invischiato in un crescendo di grovigli normativi che lo allontanarono progressivamente dalle linee guida dei Padri costituenti. E nel 1980 la grande riforma della docenza universitaria discriminò, escludendoli, professori e assistenti delle Accademie. Quando più tardi, nella rinnovata cornice concettuale della Magna Charta Universitatum e del Bologna Process, i governi della Seconda Repubblica misero mano alla riforma della formazione post-secondaria, che al suo interno comprendeva non soltanto le Università ma anche le Accademie di Belle Arti, il paradigma gentiliano si fuse col postmoderno.

Mentre il Processo di Bologna dava luogo in tutta Europa all’incorporazione universitaria delle antiche Accademie e Scuole d’arte, l’improbabile fusione alchemica di idealismo e postmodernismo generò in Italia un singolare equivoco: l’anomala separazione delle Belle Arti dall’Università e l’ibridazione di modelli formativi da sempre incomparabili e incompatibili fra loro. Come valutare che, a tredici anni dalla Legge 508/99, il sistema italiano della formazione artistica post-secondaria, considerato di pari dignità e livello dell’Università, autorizzi la convivenza di fatto di trentasettemila studenti minorenni e quarantaduemila studenti maggiorenni, tra i suoi iscritti? Come valutare che i trentasettemila iscritti di età compresa tra i 6 e i 18 anni studiano tutti nel comparto della Musica e della Danza? O che i maggiorenni iscritti ai corsi di formazione superiore musicale e coreutica sono meno di un terzo di trentasettemila?

Ecco dimostrata la ragionevolezza e la fondatezza della proposta di Legge che il Relatore Giuseppe Scalera ha riformulato, depositandola ufficialmente presso la VII Commissione della Camera dei Deputati: non una scorciatoia, come si vuole far credere, ma un atto dovuto di chiarezza legislativa. All’approvazione del Testo Scalera, come ad alcuni sembra normale che accada sul finire di una tormentata Legislatura, si oppongono le forze del “lasciare tutto com’è”, del “rimandare al prossimo Governo”, magari con un’apposita e ben studiata delega che come molte altre deleghe servirebbe soltanto al mantenimento dello stato di fatto usque ad mortem. Morte di che cosa, di chi? Delle Accademie statali, innanzi tutto, che verranno divorate dalla competizione aggressiva delle Università private, in cui stanno già proliferando nuove Facoltà delle Arti, senza alcun passaggio legislativo. Del corpo docente delle Accademie, le cui competenze teoriche ed operative si esauriranno con l’esaurimento del ruolo. Degli studenti delle Accademie, che non riusciranno a competere in Italia e nel mondo né con i colleghi universitari italiani né con gli stranieri, entrambi avvantaggiati dal possesso di uniformi titoli di laurea, laurea magistrale e dottorati di ricerca.

Entrando nella puntiforme realtà legislativa del testo formulato dal Relatore, e in particolare degli articoli che riguardano le Facoltà universitarie di Belle Arti, scopriamo che vi sono contenute tutte le soluzioni giuridiche in grado di rilanciare e vivificare le Accademie statali di Belle Arti, e con esse la memoria plurisecolare di una miriade di tradizioni speculative e pratiche, che hanno saputo costantemente trasformarsi e innovarsi, contribuendo alla formazione del nostro impressionante patrimonio storico- artistico, architettonico e urbanistico, oltre che identitario, conoscitivo ed etico.

Il Testo Scalera dice basta alla costruzione di mondi e modi paralleli, simili ma non identici, equipollenti ma non equivalenti rispetto a quelli universalmente accreditati. Propone invece l’istituzione di lauree e dottorati di ricerca in Belle Arti, come nel resto d’Europa, in radicale alternativa al sistema delle equipollenze: un insostenibile tecnicismo che aggrava l’incostituzionalità dello status quo e fa a pezzi l’organigramma storico delle Belle Arti (Pittura, Scultura, Decorazione, Grafica d’Arte, Scenografia).

Il Testo Scalera oppone soluzioni razionali ed efficaci all’orizzonte strumentalmente ecumenico e salvifico del “tutti o nessuno”, espressione di quel ceto partitico assuefatto agli imperativi sindacali. Alla domanda, pur sempre legittima: perché solo le Accademie statali di Belle Arti dovrebbero passare nell’Università? La risposta, semplice, è contenuta in parte nelle premesse indicate in questo articolo e in parte nei trentasettemila studenti minorenni, che assicurano oggi la sopravvivenza di novanta istituti musicali (statali e pareggiati) e di seimila docenti in servizio, e che sicuramente non possono essere messi da parte né buttati via, così all’improvviso.

Il Testo Scalera sceglie di confrontarsi positivamente con l’Europa e di trasformare le Accademie statali in Facoltà universitarie di Belle Arti, per restituire all’Italia quella supremazia che merita nel contesto europeo e internazionale. Da una disamina capillare dei più grandi Paesi dell’Unione, emerge in modo univoco un indirizzo semplice e chiaro: dal Processo di Bologna ad oggi, le Accademie e le Scuole d’Arte europee sono state integrate senza traumi nel sistema universitario, in considerazione delle straordinarie energie produttive e culturali che un simile processo riesce a liberare. Valga per tutti l’esempio di Edimburgo che, di recente, ha portato a compimento il progetto di fusione dello storico College of Art con l’Università statale, mantenendo identità e specificità: la fusione è il frutto del combinato disposto della puntuale analisi socio-finanziaria delle autorità politiche e della illuminata visione delle autorità accademiche, che hanno riportato al centro del dibattito pubblico sulla crescita collettiva ed economica della Scozia il potere della creatività e dell’innovazione artistica.

A questo punto, il Parlamento italiano non può più tradire le attese decennali delle Accademie statali di Belle Arti, dei professori e degli studenti che unanimemente chiedono il passaggio nell’Università grazie all’approvazione rapida della legge nella formulazione innovativa ed efficace del suo Relatore.

 

Prof.ssa Miriam Mirolla
Teoria della Percezione e Psicologia della Forma Accademia di Belle Arti di Roma
Prof.ssa Vita Segreto
Storia dell’Arte Moderna Accademia di Belle Arti di Roma