De Portesio 2007

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L’innocenza è un delitto

furto affettuoso ovvero omaggio a Eugenio Battisti

di Dario Apollonio

 

Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo.

Nel poderoso dibattito rinascimentale sulla dottrina e sulle estetiche possibili, riformiste e poi controriformiste cattoliche e non, queste parole, di per sè impressionanti e assolute, hanno determinato la ricerca di immagini non corruttibili, dipendenti dalla combinazione del corpo e della scena originari contemporaneamente dalla parola.

Il Concilio di Trento sancisce con queste parole il dogma della trasustanziazione: con Cristo il corpo – non più corrotto e corruttibile, non più (corpo)reo di chissà quali colpe – entra nella parola.1

Sbirciare a volte al di là dei confini del “pensiero debole” ci permette una molteplicità di sguardi, senza per questo trasgredire troppe regole. Da poco era stata inventata la magia della stampa a caratteri mobili su carta, attribuita al tedesco Johann Gutenberg,seppure sia probabile che già i cinesi utilizzassero in precedenza tecniche simili e che, contemporaneamente a Gutenberg,anche stampatori tedeschi, boemi, italiani e olandesi stessero lavorando nella stessa direzione. In ogni caso Gutenberg,in società con il banchiere Johann Fust e l’incisore Peter Schöffer, stampa tra il 1448 e il 1454 a Magonza il primolibro con questa tecnica. Si tratta di una Bibbia composta a 42 linee, che viene messa in vendita a Francoforte sul Meno nel 1455. L’interesse e la concentrazione su questi testi compongono una parte determinante della cultura di quegliintellettuali fra cui il nostro De Portesio.

Fra le prime attività editoriali del tempo ovunque in Europa, e non fa eccezione De Portesio, vi sono le normative religiose e civili. Le regole e la trasgressione delle regole sembra essere una forma maniacale per l’umanità, e la loro applicazione negli aspetti estetici ha prodotto i vertici più estremi, ma anche le nefandezze peggiori nella repressione delle espressioni artistiche in ogni tempo.

Sebbene l’invenzione della stampa sia annoverabile fra le più importanti conquiste dell’umanità, a molti forse sfugge che anche in questo caso esistono, per così dire, lati negativi poco considerati. Nel pieno Umanesimo, alle soglie del’500 la cultura occidentale, e prima fra tutte quella italiana, perde buona parte dei propri documenti originali. L’avvento della stampa rende superflua la conservazione dei manoscritti e molti archivi e documenti “originali” vengono inesorabilmente eliminati. Non siamo innocenti. Mi viene da pensare “per fortuna!”, parafrasando il titolo di uno scritto di Eugenio Battisti. L’Innocenza è un delitto.2

La stampa quindi come arma che produce colpevoli.

La riedizione o riscrittura continua dei documenti è l’esercizio più frequentato dalle istituzioni, alle quali si sono opposte schiere di artisti/banditi che sin dal Rinascimento hanno imparato a camuffare le proprie attività in linguaggi criptici, a volte simbolici, a volte semplicemente geniali come quelli più recenti nel solco di Andy Warhol, dove l’opera supera in potenza criminale persino la pubblicità.

E dunque, come faremo a capire di più di questa storia di lago, dove intellettuali raffinatissimi si inventano contemporaneamente alle grandi capitali d’Europa un’industria editoriale – tanto da suggerire la creazione di cartiere – dove persino San Francesco vede la possibilità di sperimentazioni nuove da collocare su un’isola, e dove anche la natura sembra per lui essere speciale al punto da suggerire la coltivazione di limoni? Dove ancora vive sono le delizie del passato classico e le comunità che si affacciano sul lago elaborano – fra una battaglia navale e un’altra – lentamente ma sapientemente, statuti e modelli politico-amministrativi esemplari, ancora oggi motivo di studio.

E chi ci spiegherà chi erano Zuan Zenon e la sua compagna con lui mummificata – non importa ora se veri o falsi – per conservarne l’eccezionalità di corpi/rei, banditi come spesso accade per forza, o al contrario per scelta? Non parliamo poi del ruolo di quel quadro raffigurante il momento dell’uccisione in cui si distinguono i popolani all’inseguimento del bandito. Quante opere rappresentano ciò che vuole il committente, e non la cronaca o il fatto in sé?

Non ho risposte naturalmente, ma tecniche di disseminazione di dubbi.

Un conforto notevole e una sorta di “autorizzazione a procedere” ce li fornisce la più recente critica storiografica e in particolare il metodo storico critico e la consapevolezza scientifica che ha generato negli ultimi decenni la tecnica della “microstoria”. Questi strumenti del razionale ci invogliano ad approfondire; e chissà che l’ambizioso e splendido programma “bandito” dal Gruppo De Portesio non ci consenta una qualche intrusione negli archivi e nelle memorie. Ad appunti da “storico” sui generis, vorrei però concedermi/ci trasgressioni sensoriali e poetiche, non da autore, sia chiaro, ma da spettatore coinvolto. Vorrei partecipare ad una delle tante riscritture, gettando, sospendendo per un attimo le regole. Trattasi questo di uno degli atteggiamenti più scientifici che io conosca, raccontato, molto bene, da quella meraviglia di epistemolo che è stato Paul Feyerabend in quella sua trilogia di cui il primo volume recitava «Contro il metodo, abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza.»3

I banditi del lago di Garda, come tutte le numerose vicende italiane e internazionali che ci restituiscono il corpo/reo della contrapposizione fra ordine costituito, regole e ribellione e/o malaffare, svicola da ogni possibile pretesa di ricostruzione storica attendibile. Ci piace assumere questo contesto storico quale metafora di una possibile interpretazione culturale “editabile” dal Gruppo De Portesio, nel senso di una utopica e volutamente spropositata raccolta di staffetta antica, corsa con meta non definita, necessaria alla riproposta artistica contemporanea.

Varrà la “pena” tentare prossimamente di re-interpretare, magari divertendosi, le vicende storiche che ci stanno suggestionando. In realtà alcuni ci hanno provato, anche se da punti di vista totalmente diversi, e fra questi è doveroso ricordare Giuseppe di Giovine con il suo Provveditori e Banditi della Magnifica Patria, ma prima ancora i vari saggi di G. Lonati e altri autori.4Se provate ad avventurarvi in quelle letture avrete da subito una sensazione imprevista e cioè di trovarvi in un insieme disordinato ed un po’ romanzato, ma con innumerevoli tracce di delitti culturali prima che politici, di metamorfosi e trasfigurazioni estetiche, prima che giudiziarie. Non è questa la sede e non vorrei annoiare, ma si deve considerare la specialità del territorio benacense, sin dalle sue prime antropizzazioni, per intuirne anche solo a senso l’enormità delle vicende di cui stiamo parlando. Sappiamo che per l’antica Roma la Riviera del Garda, oltre che poggiare sul fondamentale asse viario Brescia-Verona, costituiva una meta ludica e culturale, un luogo carico di significati, di risorse naturali e simboliche straordinarie (che conquistò persino Catullo). La continuità di questo “ruolo” territoriale è documentata anche in epoche successive e molte tracce alto-medioevali lo dimostrano. Le specialità del luogo hanno origini sostanzialmente classiche o, appunto, medioevali, che per gli uomini del Rinascimento spesso confusamente corrispondevano. Numerose le fonti che ci confermano le meraviglie del luogo. Anche brandendo qualche notizia a caso si restituisce una netta sensazione di meraviglia. Nel 950 d.C. per esempio il monastero di Bobbio attesta che la produzione di olio proviene per 85% dal Garda. Intorno all’anno 1000 si verifica la presenza di diverse pievi sul Garda fra cui Salò, Gargnano e Tremosine. Nel 1220 San Francesco fonda il monastero sull’Isola del Garda.

Ma già in quegli anni irrompe, o meglio inizia ad essere a noi nota, una ridefinizione dei poteri internazionali, che coinvolgerà questo territorio in modo intenso e speciale. Le contrapposizioni fra Guelfi e Ghibellini inaugurano una serie di altalenanti dominazioni in cui gli attori principali saranno Venezia e Brescia, e sullo sfondo Milano e le sue alleanze interna zionali, ma anche gli abitanti della Riviera e in particolare quella classe semi-aristocratica e intellettuale dalle antiche tradizioni, progressivamente esautorata delle proprie condizioni socio-politiche. Una delle maggiori eccellenze del patrimonio intellettuale locale, restituiteci dai documenti, è rappresentata proprio dalla passione e dalla continuità oserei dire “scientifica” nell’elaborazione di testi di diritto e di metodologie amministrative e gestionali delle comunità del Garda in epoca medioevale e rinascimentale. Tutto naturalmente consentito dagli intensi scambi con le diverse culture veneziana e lombarda, ma è semplicemente gradevole immaginare che molte personalità locali contribuirono all’elaborazione intellettuale di strumenti di gestione amministrativa e politica estremamente sofisticati. Non si spiegherebbe altrimenti la notevole considerazione e lo spirito di collaborazione, per la verità non continuativo, della Repubblica di Venezia nei confronti di un’aristocrazia sì sottomessa, ma dotata di enorme autonomia e privilegi. Gli Statuti Civili e Criminali del nostro Bartholomeo Zane De Portesio sono un documento fondamentale per questa ipotesi di lavoro. Uno dei culmini intellettuali degli anni immediatamente successivi fu la costituzione dell’Accademia degli Unanimi e Concordi, risalente al 20 maggio 1564, fondata da un letterato salodiano e altri diciotto giovani intellettuali. Da quell’accademia discende l’attuale Ateneo di Salò, ancora oggi attivo con una delle biblioteche storiche fra le più interessanti in Italia. È questo un frammento di storia caparbiamente resistito nei suoi corpi/rei bibliografici, discendente forse un po’ tardo, ma straordinario, di uno dei fenomeni più importanti della nostra civiltà: l’Umanesimo rinascimentale. Fra le varie traversie belliche e pestilenziali di quel periodo se ne annovera una d’altra natura, rappresentata dalla visita pastorale di San Carlo Borromeo (1580), quale Legato apostolico del papa nella riviera: per suo ordine vengono abbattuti fra l’altro i templi romani di Salò e Toscolano. Al di là della perdita inestimabile, queste azioni che Borromeo per altro esercita su gran parte del territorio alto-lombardo, segnano per molti il definitivo furto delle specificità del luogo e la cancellazione di onori e sogni (ad occhi ben aperti) di rinascenza intellettuale e di autonoma elaborazione di futuri possibili. Tutto viene gerarchizzato con linguaggio “straniero” se non nella parola, senz’altro nei modi e spesso nei contenuti. Persino le chiese vengono modificate per rispettare quello che dalle popolazioni locali veniva vissuto come un vero e proprio “altro” culto.

La sintesi di quel ramo del Concilio di Trento che per accademica e spiazzante coincidenza si svolse proprio nella sala in cui sto scrivendo questo pezzo, a Bologna nella mia università a Palazzo Sanuti-Bentivoglio- Bevilacqua, sancì il definitivo distacco da una porzione di passato che da lì in poi si andò pazientemente a eliminare. La cancellazione, per esempio, di una serie di archivi di curie coinvolte nei tribunali dell’Inquisizione, motivo per il quale non abbiamo documenti relativi a opere di prima grandezza quali l’Ultima cena di Leonardo in Santa Maria delle Grazie a Milano.

In quell’affresco però la frase è un’altra: “Qualcuno di voi mi tradirà”.

Ecco. Questo è lo sfondo in cui si cala la piccola storia bandita di Zuan Zenon. Storia da riscrivere e da sognare, possibilmente non da soli. La statua di Borromeo che ferma la peste eretta a Salò, probabilmente metaforizza un confine fra la disciplina ecclesiastica cattolica e quanto sarebbe accaduto oltralpe. La definizione di una Controriforma che ha segnato i destini di tutta Europa ha prodotto l’idea di terra di confine per il territorio benacense, condizione che obbliga alcuni da un lato o dall’altro o da nessuno dei due lati a considerarsi “bandito”. Quello che ci interessa dunque è l’ambiente culturale del tempo, ma anche quello di oggi, ma soprattutto quelli non scritti, non documentati, non conservati. Gli strumenti attuali frantumano la differenza fra storia documentata e documento che modifica la storia. Tutto è reale e possibile. La bussola viene solo dai nostri corpi in azione. Rei solo se mummificati, abbandonati al flusso informe dei bit informativi. La poco definita necessità creativa contemporanea non ci soddisfa se vissuta quale effimera supplente delle conoscenze mancanti. Può tradursi in approfondimento del sentire contemporaneo, arma futura. L’indagine sulle tecniche artistiche e sul rapporto fra media e opera d’arte è ricca di cataste di libri e di avventure del pensiero straordinarie a cui riferirsi con rispettosa umiltà. Si pensi solo a tutta l’estetica fenomenologica con le radici in Kant e le scoperte sensazionali di Husserl e Heidegger sino al più recente Dino Formaggio. Si pensi ancora al breve ma intenso testo di W. Benjamin, L’arte nel tempo della sua riproducibilità.5

Dalla trincea del critico militante riemerge quest’anno con efficacia persuasiva Germano Celant, che con la mostra Bolognese “Vertigo”. Il secolo di arte off-media dal Futurismo al web finalmente corona quel sogno personale che ci ha fatto condividere ormai da decenni. La realizzazione di un suo progetto antico, Off media, è il coronamento di una con-fusione fra media e lavoro artistico che è la chiave del contemporaneo.6 Anche se da percorsi diversi, la mostra Corpo/Reo offre un approfondimento attuale a quel progetto antico.

L’orizzonte digitale è lì che ci guarda, con tutte le sue “colpe”, intriso com’è di pirateria globalizzata, ci ospita dentro una storia da riscrivere su rotte multiple nelle dimensioni post-euclidee oggi finalmente possibili.

D.A.

1. MARIO BOETTI, Il Corpo senza più sostanza ne materialità, www.transfinito.net

2. EUGENIO BATTISTI, L’innocenza è un delitto, in «Gran Bazaar» n. 8-9 agosto-settembre 1984, pp. 94-96

3. PAUL FEYERABEND, Contro Il metodo, Feltrinelli, 1975

4. Provveditori e Banditi nella Magnifica Patria di Giuseppe di Giovine, Sist. Bibl. Alto Garda, 1980

5. W. BENJAMIN, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 1966

6. GERMANO CELANT, Off Media, 1977