Elena Bovo è una giovane artista che dopo aver frequentato l’Accademia di Venezia e aver conseguito una laurea in Pittura, orienta negli ultimi anni il suo lavoro in una complessa ricerca fotografica. Negli scatti dichiara la sua visionarietà ritraendo il silenzio che circonda e libera i volti e i corpi ripresi. I soggetti fotografati racchiudono se stessi nella posa, ma svelano in un secondo momento la presenza di un segreto. E questo segreto è sfiorato sui nostri occhi da un dubbio sottile che ci interroga sulla esistenza di un tempo presente.
Elena Bovo ci ha parlato del suo lavoro contestualizzandolo nella sua stessa esperienza di vita, raccontando la sua costruzione di una rete relazionale con l’ambiente dell’arte e con gli artisti in particolare.
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Lo studio dei maestri del passato ha avuto un fortissimo ascendente sulla formazione del mio gusto estetico, con una passione particolare per il movimento della Secessione Viennese e per il Simbolismo. Forse la cosa che più mi mette in difficoltà in questo periodo storico, è la dilagante provocazione gratuita, l’esasperazione del messaggio tramite immagini che a volte assumono intenti quasi pubblicitari, e troppo spesso sconfinano nella vera e propria propaganda.
E’ possibile che ci si stia disabituando al linguaggio puro dell’immagine, che può raccontare senza necessità di slogan e può trasmettere contenuti a livelli profondi, in cui l’uso della parola risulterebbe svilente e a volte improprio. E’ probabile che una parte di questa perdita si possa imputare all’uso della tecnologia, tramite la quale la diffusione delle immagini ha raggiunto dei livelli tali che spesso per distinguersi da molte voci ci si rassegna ad urlare. Naturalmente la grande diffusione di immagini permette anche di entrare in contatto con tantissimi artisti dotati e sensibili, e ciò è veramente stimolante per chi fa arte oggi. Non voglio assolutamente demonizzare la tecnologia, anzi, in questo momento della mia vita è proprio essa il mezzo che mi permette di esprimermi e la trovo una cosa assolutamente affascinante. Se usata correttamente può amplificare le nostre capacità ed essere un alleato prezioso, ma può anche trascinarci nel vortice di una produzione fine a se stessa.
Nel mio lavoro cerco di avere un approccio diverso, cerco di non ragionare sulle implicazioni ‘politiche’ delle mie immagini, lascio che l’idea parta dall’immagine stessa, perché in fin dei conti si tratta di visioni; l’interpretazione viene dopo. Solo quando ho accumulato del materiale lo valuto da un punto di vista strutturale, e individuo il concept, la storia, il messaggio, che spesso nasce appunto durante la manipolazione e il riassemblaggio del lavoro, quasi avesse un ordine dentro a se stesso e io mi limitassi semplicemente a coglierne i messaggi intrinseci che suggerisce.
Il concept è implicito nei temi che tratto, una naturale conseguenza, e si manifesta nei sentimenti che questi producono. Forse i miei personaggi possono apparire autoreferenziali, perché non hanno nulla da dire, sono troppo impegnati a vivere, sono sempre in bilico tra la rassegnazione e la speranza, non c’è mai azione, solo una sorta di fissità; sono tutti abbagliati da una sorta di contemplazione di se stessi e di quello che li circonda.
Negli anni mi sono sempre più convinta dell’importanza del rapporto tra gli artisti, sia a livello formativo che personale. Nel nostro mestiere la comunicazione e il confronto sono indispensabili.
Avendo frequentato l’Accademia mi sento di dire che l’esperienza formativa più importante sia stata proprio imparare a stabilire relazioni. La cosa negativa credo sia l’incapacità di preparare gli studenti a quello che sta fuori dall’ambiente “protetto” delle università, ma questa è una visione personale, legata per forza alle singole esperienza di ognuno.
Dopo l’Accademia ho sentito comunque l’esigenza, insieme ad altri miei compagni, di creare un “luogo” dove poter continuare quell’esperienza di confronto iniziata durante gli studi. Per questo è stato creato il Collettivo Nomoi, con lo scopo di riunire e rinnovare le collaborazioni tra gli artisti e promuovere il loro lavoro attraverso mostre ed eventi, ma senza imporre tempi e calendari soverchianti. L’esigenza di esporre nasce dall’aver lavorato molto, e una realtà a misura di artista credo ne debba rispettare i tempi creativi, e non imporre i propri ritmi pubblicitari su di essi.
Spesso, prendendosi il tempo per concentrarsi senza sentirsi inseguiti dagli appuntamenti e dalle aspettative si riesce ad ascoltare meglio i richiami che vengono da dentro di noi, così, quando ho sentito l’esigenza di riavvicinarmi alla fotografia, ho lasciato che un nuovo interesse fluisse dentro di me, senza cercare di dirottarlo verso strade che conoscevo meglio e in cui mi sentivo necessariamente più al sicuro. Ho iniziato ad approfondire la mia conoscenza della fotografia attraverso internet, che mi ha fornito idee e elasticità nel trattare argomenti nuovi, e anche gli strumenti tecnici per ottimizzare il mio tempo al meglio. La potenza del Web, come veicolo di idee e informazioni, mi ha subito permesso, tra l’altro, un confronto su ampia scala, e questo mi è servito veramente molto per capire dove stavo andando.
Questo percorso mi ha portata ad accettare nel 2013 l’invito ad entrare come curatrice nello Staff di Pentaprism, fotocommunity nata per dare spazio a una parte di quella comunità fotografica che usa il web come mezzo di condivisione e promozione del proprio lavoro, anche attraverso l’omonima rivista di cui sono Art Director e Graphic Designer.
Quest’esperienza mi ha permesso di entrare a contatto con fotografi professionisti e non di tutto il mondo, dandomi la possibilità di evolvere come persona e come artista.
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Contestualizzare il punto della esperienza di Bovo dentro o fuori il “sistema” dell’arte non è semplice. Le abbiamo chiesto di parlacene.
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Probabilmente non sono la persona più indicata a cui chiedere di parlare delle mie esperienze nel ‘sistema dell’arte’, visto che mi sono sempre tenuta al di fuori dei ‘sistemi’. Potrei argomentare in mille modi questa scelta, ma in realtà penso che principalmente sia dettata dal fatto che pensare all’arte come ad un ‘sistema’ mi fa paura. Forse ho una visione terribilmente irreale del mondo dell’arte, ma ho sempre pensato che un vero e proprio mondo dell’arte non abbia ragione di esistere. Semmai c’è il mondo degli artisti, ma in ogni caso non si tratta di un mondo solo, anzi, c’è né uno per ognuno di noi. Capisco l’esigenza di creare una macchina che venda l’arte e che la faccia girare, ma nello stesso tempo mi fa orrore pensare di dover lavorare per compiacere il mercato o qualcosa di simile. Ho sempre preferito non preoccuparmi del mercato, e giustamente il mercato non si è più di tanto preoccupato di me. Lo trovo sensato. Non mi sento rodere da particolari rancori per fortuna.
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https://nomoiblog.wordpress.com/
http://pentaprismcommunity.org/
articolo di Alberto Balletti e Marina Guarneri