Sofia Olmeda è una giovane artista che non attende risposte facili. Non cerca nella elusione del problema comunicativo la soluzione estetizzante. Se una artista afferma che “viviamo in un periodo il cui ordine del giorno è il vuoto e ciò che regna sovrano è il non so” ci troviamo di fronte a una nuova lucidità: dobbiamo cogliere questa reazione e aprire dentro di noi nuovi spazi di significato. Perniola con la sua puntuale analisi del sistema dell’arte nell’ultimo libro “L’arte espansa” evidenzia come l’arte sia rimasta “l’unico tipo di attività deviante consentita nelle società occidentali”, ma altrettanto asserisce che “l’azione artistica è politicamente inclassificabile e irrilevante”. Solo confluendo le energie prodotte dalle opere d’arte nella dinamica della “artistizzazione” si potrà arrivare a condividere una sintesi visionaria dentro nuovi luoghi rigenerati dal lavoro degli artisti.
Parlaci dalla prospettiva interna alla cultura contemporanea del tuo lavoro, dell’importanza del tuo ruolo relazionale con l’ambiente dell’arte in generale e con gli artisti in particolare
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Parlare del proprio lavoro è difficile e si rischia sempre di non darne una giusta idea o di non riuscire a trasmettere il proprio pensiero, dunque ci provo.
Vi sono diverse modalità di lettura e trasmissione, interstizi e doppi sensi la cui conclusione non è mai la medesima. Ma alla fine… serve trasmettere un messaggio preciso o un meccanismo che attiva una serie di riflessioni?
Viviamo in un periodo il cui ordine del giorno è il vuoto e ciò che regna sovrano è il “ non so “. Mettersi in gioco non è una cosa semplice e spesso si predilige l’omissione di una scelta perché è più semplice, perché si può fare “ più avanti”. Passano in questo modo i minuti…le ore…giorni e gli anni…senza dare un perché quando la cosa migliore sarebbe affrontare ciò che si ha davanti e sfidare la sorte “ guardando” ciò che si ha davanti nelle palle degli occhi. Cosa accadrebbe se una persona invece che vedere cominciasse a guardare e poi ad osservare? Potrebbe capire cose nuove, giungere a nuovi pensieri, nuove considerazioni e poi…rimettere in discussione il proprio sistema perché la nostra realtà non è un equilibrio. Se l’uomo cambia ogni cinque anni cos’è che farà risparmiare anche l’evoluzione del proprio pensiero?
Nulla.
Penso che per iniziare un nuovo processo sia assolutamente necessario verificare degli interstizi, quei piccoli dubbi che si insinuano li dietro e che attivano la “domanda”. Il mio percorso artistico ha approcciato varie fasi dalla pittura alla grafica e poi il digitale. Lo studio approfondito della storia dell’arte poi, mi ha dato modo di riflettere… per costruire qualcosa di “nuovo” è impossibile non guardare il passato.
Mi piace usare ciò che si ha attorno cercando nel mio piccolo di creare qualcosa di speciale.
Grazie all’utilizzo della fotografia mediante strumenti banali come lo scanner creo fotografie che rispecchiano il mondo. I soggetti ritratti sono di dubbia provenienza e non sempre si capisce il contenuto della foto ma è proprio la difficoltà di lettura che trovo affascinante. L’immagine che si faranno gli spettatori di una mia opera sarà sempre diversa. Mi piace paragonare i miei lavori a quella sensazione che si prova quando si ha un parola sulla punta della lingua e alla fine si percorre tutte le possibilità che sorgono spontanee.
Niente è solo ciò che sembra.
Sono felice di constatare che molti miei colleghi la pensino per molte cose come me. Apprezzo molto quegli artisti che in maniera molto naturale creano lavori la cui visione fa notare un attento studio antecedente. Non capisco assolutamente invece chi produce solo per creare qualcosa che sia piacevole alla vista e basta.
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Ci puoi parlare della tua esperienza dentro e fuori il “sistema” dell’arte, dentro e fuori l’Italia o le problematiche veneziane? Raccontaci in breve come ti relazioni con Venezia, come il tuo lavoro di artista si lega alla città
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La mia esperienza all’interno del sistema dell’arte è stato alquanto tumultuoso. Ho avuto il piacere di vivere il sistema sia in prima persona in quanto artista e dietro al sipario da organizzatrice. Non è facile. E’ triste dirlo ma non si riesce più a vivere solo di arte. Ora come ora un’aspirante artista se non ha un contatto o un secondo impiego per auto alimentarsi deve solo sperare nel colpo di fortuna.
Bisogna rimanere sempre sull’attenti avere sempre qualcosa da dire il che è difficile soprattutto per artisti che come me alternano momenti di iperattività a momenti lenti e necessari per metabolizzare un’idea.
Il fattore Venezia poi rende la sfida ancora più interessante perché si oscilla tra l’immensità e la storia e la presenza ancora molto radicata (purtroppo) di un pensiero molto limitato e chiuso e poco aperto alla novità.
Per fortuna ci sono molte persone che agiscono nel buio e cercano di cambiare questo status e con loro ci provo anch’io ma di sicuro i risultati riusciranno a vederli solo i posteri.
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articolo di Alberto Balletti e Marina Guarneri