di Marina Guarneri
Il Padiglione della Mongolia, che quest’anno vanta la sua quarta partecipazione alla Biennale di Venezia, è curato da Gantuya Badamgarav. Trattasi di un viaggio attraverso la vulnerabilità. E di vulnerabilità cosmica si tratta. Munkhtsetseg Jalkhaajav è l’artista che presenta in un percorso di tre sale, sculture, collage e filmati, scandendo così il viaggio in tre momenti. Conosciuta come Mugi, l’artista, attraverso una profonda riflessione sulle proprie esperienze personali, indaga sulle complessità del corpo, della mente e dell’anima femminili e sulla connessione tra il sé e la natura, cogliendo al contempo le tensioni tra le diverse dimensioni in emersione. Lo fa esplorando le stratificazioni del dolore, della paura, della guarigione e della rinascita. Le sue opere, apparentemente inquietanti, sono fortemente ancorate alla realtà antropologica, culturale e spirituale del territorio da cui proviene, incarnando forze visibili e invisibili, spiriti e miti, metodi di guarigione tradizionali, attraverso la narrazione di storie di donne, bambini mai nati e crudeli destini degli animali. Nata sul finire degli anni sessanta (1967) Mugi è un’artista molto conosciuta nell’ambito dell’arte contemporanea mongola e il suo lungo percorso di ricerca attinge al sapere antichissimo delle steppe in cui lo sciamanesimo mongolico ha incrociato gli insegnamenti buddhisti: una sorta di neo-umanesimo spirituale quale parte integrante del cosmo, della totalità che integra a sé il regno animale e naturale.
Il passaggio nelle tre sale è un vero e proprio “attraversameno”: la prima è titolata: Dream of Gazelle, evoca uno scarno fienile con la presenza di un simulacro di un letto in metallo: adagiata sopra vi è la scultura morbida di una gazzella che pare addormentata, coperta da una proiezione multimediale in bianco e nero che sembra incarnare i sogni dell’animale e delle proprie fragilità. Una provocante suggestione ancestrale per documentare che la dimensione onirica non è condizione esclusiva dell’umano.
Si traversa poi la seconda sala dove sculture morbide di figure-anime ibride, con teste caprine e seni femminili, sono a rappresentare l’idea di corpi cosmici. Cosmic body series come a significare l’eco, la risonanza sottile tra i regni dell’umano e del non umano.
L’ispirazione è da ricondurre alla visione buddhista che colloca l’essere vivente come parte di un tutto, nell’impossibile tentativo di scissione di quest’ultimo dalla trama di relazioni con tutto ciò che lo circonda. Anche qui Mugi pone all’osservatore la riflessione introspettiva e archetipica del femminile attraverso le sue creature visionarie. Inoltre, come sottolineato dalla curatrice del Padiglione: “A risuonare negli spazi del padiglione non sono solo i linguaggi di creature che fanno parte di regni apparentemente lontani, ma anche e soprattutto le note dello scacciapensieri, una piccola arpa a bocca di cui gli sciamani locali si servono abitualmente per i loro rituali di protezione e comunicazione con le anime trapassate.” Il tutto restituisce un’atmosfera intrisa di magia e seduzione ricollocando suo malgrado l’osservatore nel territorio poco conosciuto di una nazione in cui gran parte della popolazione a tutt’oggi conduce per scelta una vita di carattere nomade, dove lo sciamano (dalla lingua tunguso siberiana saman, colui che conosce) è ancora una figura predominante, molto consultato dalla comunità perché in tutta questa zona, ove l’esperienza estatica è considerata l’esperienza spirituale per eccellenza, lo sciamano e soltanto lui, è il maestro dell’estasi. Come sostiene Eliade, “è il grande specialista dell’anima: lui solo la vede perché ne conosce la forma e il destino”. Miscarriage, è l’ultima stanza nel percorso della mostra che ospita Keeper of Protector Bird. Una figura femminile seduta su una sedia di legno, abbraccia un grosso volatile nero i cui lunghi arti avvolgono la donna come tentacoli. L’uccello nello sciamanesimo è un animale che spesso assume il ruolo di “spirito-guida”, un alleato. Si tratta di animali veloci, irriconoscibili agli altri che possono rivelare il segreto dell’avvenire perché vengono concepiti come il ricettacolo delle anime dei morti o come epifanie degli dei, sono inoltre considerati psicopompi. In questo lavoro di Mugi, il volatile nero riporta ai rituali sciamanici cui le donne mongole si sottopongono durante la gravidanza per proteggersi dall’aborto spontaneo, nell’atto di preservare e celebrare a tutti i costi la vita.
Apparentemente l’oscuro Padiglione della Mongolia ci consente di percorrere un vero e proprio “attraversamento di risonanze” attraverso le vite delle creature di tutti i regni possibili, visibili e invisibili.