“Bella Ciao” di Giovanna Daffini

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Una delle figure di primissimo piano del movimento di riscoperta del canto popolare e proletario degli anni '60. Nata a Villa Saviola (Mantova) nel 1913 e vissuta a Gualtieri (Reggio Emilia), dove morì nel 1969, la Daffini cominciò da giovanissima a suonare come ambulante, lavorando durante la stagione della monda come risaiola nel Novarese-Vercellese. Durante il lavoro nelle risaie imparò le sue canzoni più celebri: Amore mio non piangere, L’amarezza delle mondine, Sciur padrun da li beli braghi bianchi, La lega. In seguito, dopo aver partecipato alla Resistenza, arricchì il repertorio con canzoni di battaglia e di lotta sociale. Sposatasi con Vittorio Carpi, che suonava il violino in orchestre lirico-sinfoniche, continuò con lui a suonare e cantare nel corso di feste, matrimoni e fiere. Gianni Bosio e Roberto Leydi la scoprirono nel corso delle loro ricerche sul campo nel 1962, e passò dal ruolo di informatrice a quello di cantante professionista al fianco del Nuovo Canzoniere Italiano, partecipando agli spettacoli di «Bella ciao», «Ci ragiono e canto» e al secondo Folk festival di Torino, senza che il suo stile canoro perdesse le tipiche asperità popolari che qualcuno ha voluto definire “eversive” perché dentro il loro timbro aspro e corrosivo portavano quell’aggressività antagonista che sembrava una esplicita metafora della lotta di classe. Ne è un esempio lampante la sua versione di Marina, tipico hit dei primi anni '60, trasformato in una ruvida e aggressiva ballata di tutt’altro tenore stilistico. Non a caso è stata la più imitata fra le protagoniste del folk revival — da Giovanna Marini a esempio — e curiosamente ammirata dalla generazione del rock più antagonista, che a metà degli anni Novanta ne ha riscoperto la figura come una “madre punk” ante litteram. Notissima per le proprie re-interpretazioni di canti propri della tradizione popolare e proletaria padana, il suo repertorio è stato letteralmente saccheggiato dalle cantanti di «folk», da «Sciur padrun da li belli braghi bianchi» ad «Amore mio non piangere», da «L’uva fogarina» a «Bella ciao» (versione di risaia). Ciò permette di misurare tutta la distanza che corre tra le sue interpretazioni di queste canzoni e quelle, per esempio, di una Gigliola Cinquetti.