Passato l’Arsenale, camminando verso i Giardini di Sant’Elena, prima o poi si sbuca in via Garibaldi, tra i banchi del mercato e le voci delle donne di fretta a fare la spesa. Qui le persone vivono ancora dentro la città come avveniva fino agli anni settanta in centro. Si ciacola delle cose di sempre, di donne e uomini e poi di schei, che non bastano mai, tra bar e osterie che traboccano di artigiani e barcaioli. L’unica strada di Venezia chiamata Via e non Calle, via Garibaldi, quella che traccia una diagonale tra l’isola di San Pietro e la Basilica della Salute, in lontananza di là dal bacino. Una via che mette di buonumore dove si parla di cibo, di barche e di pesce. Per l’architetto Selva, al soldo di Napoleone, questa strada doveva conferire modernità ed eleganza al sestiere e, a due secoli di distanza, via Garibaldi è divenuta la linea di resistenza umana della Venezia popolare, nella sua grandezza e nella sua miseria.
Su questa linea di confine, avviluppato dal contesto variegato e rumorosamente umano, al numero 998, è, alla sua prima in Biennale, il piccolo Pavilion Of Humanity. Visitabile solo fino al 30 maggio e non presente fra gli eventi collaterali ufficiali, l’istallazione “Mute Ululation” di Michal Cole affida figurativamente a un gesto di difesa, l’identità femminile: bocche con il rossetto che emettono in random quel suono stridulo e contemporaneamente acuto chiamato zalghouta o zaghrouta.
https://www.youtube.com/watch?v=BoEcgbPXMj8&feature=youtu.be
La mission dichiarata del padiglione è quella di costruire una piattaforma di artisti con diverse provenienze esperienzali e artistiche per promuovere “giustizia, uguaglianza e unità per l’umanità”. Una lingua comune come antidoto all’approccio nazionalistico degli altri padiglioni in cui ogni paese è segregato con gli artisti che lo rappresentano e definito spesso da asfittici confini. Via Garibaldi, tra le tante vivacità quotidiane, in questi giorni accoglie, proprio grazie alla sua vocazione umana, anche Michal Cole e la sua installazione “Mute Ululation”.
Michal Cole, artista britannica-israeliana, indirizza la ricerca intorno alle tematiche dell’identità, della sua cultura e del suo retaggio. Nata in Israele, vive a Londra, i suoi genitori sono entrambi marocchini di antica genealogia. Nei primi anni cinquanta furono deportati in Israele e sistemati in campi profughi. Alle precarietà economiche di quegli anni e alle difficili condizioni abitative si aggiunse la segnante esperienza della discriminazione razziale per le loro radici marocchine. E’ a partire dalla propria identità multipla e overlapping, che l’artista propone, dentro una stanza di dimensioni ridotte e poca luce, una videoinstallazione tra i tappeti di un accogliente Khaima, la tenda dei nomadi berberi. La zalghouta è simbolo chiave dei documenti video dei suoi viaggi tra Marocco e Israele dove l’artista ha raccolto fotogrammi di donne che recitano il tradizionale e celebrativo ululato: un urlo prolungato, vibrato, ad alta densità vocale, accompagnato da un movimento rapido della lingua che si sposta da un lato all’altro delle labbra. Nella stanza oscurata, sugli schermi delle tre pareti, vengono proiettate una miriade di primissimi piani di bocche ululanti.
I primissimi piani su ciascuna bocca affiancati in un mosaico all’infinito di labbra di donna, una diversa dall’altra, sono ricomposti e restituiti sullo schermo con l’intensità di uno sfogo e la concentrazione di una sola identità. La simultaneità visiva e uditiva deborda incontenibile in sfumatura erotica. Suoni e immagini, dentro la camera buia, avvolgono l’osservatore in un crescendo potente, simbolico ed espressivo, energico e unificante, provocatorio e disturbante. Umanamente legato alla resistenza femminile, che sottende un aspettativa di affrancamento di fronte alla discriminazione, l’installazione attanaglia per i contenuti ridondanti ma diretti.
“Questo sprezzante diluvio di genuina felicità femminile funge da celebrazione sia trionfante sia poetica dell’identità e della sessualità femminile ed anche immaginando un legame intenso ed unificante tra donne che trascende confini geografici, religioni ed ideologie”.
Marina Guarneri
Michal Cole è un’artista multidisciplinare. Il suo lavoro include video, rappresentazioni, installazioni site-specific ed anche fotografie, sculture, opere su carta ed arazzi. Si è laureata al Central Saint Martin Art college (BA) e al Chelsea college (MA). Espone a livello internazionale e ha vinto premi tra i quali the Saatchi Gallery’s Showdown competition, Signature Art Prize Award e My Art Space Scope Miami Award