IL TESTO DI EDOARDO DI MAURO, marzo 2011
Dopo l’ultima grande invenzione moderna, la fotografia, che libera l’artista dall’onere di essere l’unico riproduttore della realtà, dando il via alla fase dell’espressionismo e dell’astrazione, la stagione della contemporaneità tende all’ambizione di far fuoriuscire l’arte dal suo classico confine, fosse esso lo spazio pittorico, od il classico monumentalismo, per invadere lo spazio circostante, esaltando il procedimento mentale a scapito di quello manuale, con l’arte vista come evento cerebrale ed immateriale e l’artista come lo sciamano in grado di “virgolettare” artisticamente l’universo mondo. Dall’antica vocazione alla rappresentazione mimetica della realtà naturale la pittura è stata in grado, di recente, di mutare la sua veste narrando con grande capacità poetica ed evocativa le inquietudini di un mondo in rapida mutazione. Potrebbe in realtà apparire non del tutto conforme insistere sulla pittura, se di questa si ha una concezione prioritariamente tesa alla rappresentazione icastica, in riferimento al dato visivo dell’opera di Nicola Bolaffi anche se, a mio parere, così non è. La cifra stilistica di Bolaffi si pone nel sito dell’astrazione, più in generale nel territorio dell’aniconico , ma uno studio attento delle complesse rivoluzioni di linguaggio che mutano il corpo dell’arte lungo il tracciato della contemporaneità, da fine Ottocento fino alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, dimostrano che l’astrazione non persegue un percorso univoco ma è caratterizzata da un numero estremamente ampio di varianti. Il termine “astrazione” etimologicamente deriva dal latino con il significato di “trarre via da” o “allontanare” e storicamente è il dato stilistico che caratterizza in maniera predominante il Novecento a proposito della negazione di ogni rapporto con gli elementi naturalistici e del confronto con forme ricavate della realtà. Le premesse dell’Astrattismo si rinvengono nel Simbolismo che proponeva di guardare alla dimensione interiore piuttosto che al mondo esterno e nelle proposte dell’Espressionismo intento a corrompere e deformare la realtà naturale. Il progetto estetico di Nicola Bolaffi si pone sostanzialmente al crocevia di queste due opzioni, collocandosi in pieno all’interno della linea predominante dell’Astrazione italiana, dedita, più che ad un rigorismo geometrico, a penetrare con lo sguardo la realtà naturale per donarcela nell’essenzialità delle sue linee forza. Quella di Bolaffi è un’astrazione “dolce”, dove l’artista si cimenta in una serie di composizioni ad olio, acrilico o tecnica mista in cui il tracciato dei segni si pone in una dimensione labirintica , curvilinea o segmentata proiettandosi verso un orizzonte di geometria “romantica” scevra da qualsiasi rigidità e dove porzioni di colore dalle tinte tenui ed evocative, ma talvolta anche timbri più decisi e vitalistici, si incastrano con precisione gli uni agli altri, in un balletto di pigmenti e di cromie dove talvolta si insinuano elementi di minimale figurazione ed in cui è spesso possibile cogliere, tra le righe, il riferimento al dato naturale. L’artista pone in essere una dialettica tra interno ed esterno: l’occhio coglie elementi di realtà che vengono introiettati e sublimati nella dimensione trascendente della composizione secondo un concetto circolare tipico dell’estetica medievale, non a caso una stagione rigorosamente anti-naturalista. Quello di Nicola Bolaffi è senza dubbio un lavoro coraggioso, anche tenendo conto della giovane età dell’artista. Come ha scritto di recente Mario Perniola, nel suo al solito lungimirante saggio “Miracoli e traumi della comunicazione”: nella nostra fase sociale caratterizzata dall’invasività di quello strumento, “la comunicazione è vera perché pone dinanzi ad un fatto, falsa perché adotta tecniche di esagerazione, manipolazione e mistificazione, finta perché l’aspetto fantastico vi gioca un ruolo essenziale”. Invece di rivolgere la sua attenzione verso più comode pratiche di divulgazione artistica, in questo tempo liquido dell’eterno presente, Bolaffi si rende protagonista di un’azione di segno radicalmente opposto, adottando un linguaggio, quello astratto, sempre sofferente in un paese come il nostro di cultura cattolica e controriformista, riuscendo a parlare in maniera efficace del reale senza su questo appiattirsi, comunicando senza lasciarsi irretire dal flusso assordante delle false ed effimere informazioni della nostra epoca.