Abbiamo chiesto alla giovane artista Alice Biondin di parlarci dal suo punto di vista del suo lavoro, dall’interno della cultura contemporanea. E di soffermarsi sull’importanza del ruolo relazionale con l’ambiente dell’arte in generale e con gli artisti in particolare.
La cultura contemporanea è vasta e non conosce il senso del limite, è totale, abbraccia di tutto. L’arte contemporanea procede di pari passo, a volte è schietta altre è sfacciata, curiosa ma anche invadente, spesso effimera perché inconsistente. Ora originale, ora ripetitiva e fastidiosamente copiativa, l’uno guarda all’altro che guarda ad un altro a sua volta. Non è sempre unica, sacra.
L’arte “buona” e l’arte “cattiva” sono sempre esistite, bisogna solamente imparare a distinguerle.
Il mio percorso artistico collocato all’interno di questo sentire-patire contemporaneo ha messo in evidenza fin da subito il corpo femminile, luogo pervaso da poesia e delicatezza, da metamorfosi continua e dolore.
Possiede un fascino altissimo che viene ahimè deturpato in quest’era; diventando amorfo, mancante, caduco, sottile e fragile il suo rispetto è venuto a mancare drasticamente.
Disarmonia come chiave di volta.
Relazionarsi e confrontarsi con l’altro è indispensabile ma non sempre possibile; durante gli anni accademici il dialogo fra allievi e docenti era una costante e ciò mi ha formata. Il luogo in cui avviene l’interscambio di visioni è fondamentale, ma se manca il contesto giusto manca tutto. Il dibattito artistico è qualcosa di prezioso e proprio per tale ragione devi attuarlo con le persone che reputi più giuste, quando ciò avviene ecco che si crea qualcosa.
Chiediamo a Alice quale sia oggi la sua opinione della sua esperienza dentro e fuori il “sistema” dell’arte.
Tagliata fuori. Se nessuno ti ascolta col tempo si perde anche la voglia di parlare.
Il sistema dell’arte non è un sistema, punto.
Ti colpisce alle gambe, ti spezza le ali. Sotto questo punto di vista l’arte ha fatto dei grandi passi indietro, ora come non mai è un affare più che elitario.
La vita moderna ti arresta, ti reprime, mi deprime. Con la mia arte non ci pago le bollette, non ancora. L’odierno ha il suo costo e se vuoi “essere artista” di possibilità ce ne sono due: fare il mantenuto sperando prima o poi di venire scoperto – da chissà chi poi? – o mettersi nell’ottica di trovare un lavoro che ti piaccia o meno (uno qualsiasi perché nel campo artistico/culturale le posizioni aperte sono un miraggio), continuando a coltivare la tua vocazione nel poco tempo che rimane a disposizione…sempre che ci siano la testa e i giusti stimoli.
Avendo studiato e fatto le prime esperienze espositive a Venezia chiediamo alla giovane artista di raccontarci in breve come si relazioni oggi con la città.
Venezia
respiro
Arte.
Pensieri e confusioni
convergenze e opposizioni.
Occasioni e mancanze
sfide e gioie.
Analisi e incomprensioni
percorso, arrivo.
Venezia è stata fondamentale e necessaria.
Contrastante, cosmopolita ma per certi versi chiusa in se stessa. Se questa splendida città lagunare è stata la mia seconda casa per molti anni – l’amo incondizionatamente e ogni volta che ci torno riesce ad emozionarmi come la prima volta – nell’ Accademia di Belle Arti di Venezia ho trovato la mia famiglia adottiva. Mi ha dato tanto, tutto. Mi ha formato come artista abbracciandomi fin da subito. Certo, ha i suoi limiti, i suoi punti deboli e lentezze ma è stata una valida palestra che, se potessi, frequenterei a vita!
Una battuta sulla 56th International Art Exhibition – la Biennale di Venezia?
E’ ormai risaputo che la Biennale d’Arte di Venezia è un crogiolo di idee, visioni, appuntamenti e interscambi. Dal mio punto di vista è già da qualche edizione che simboleggia un mashup alquanto confuso e stridente; anche All the world’s future mixa impegno e frivolezza, stile e cadute, buon gusto e trashate.
Visitando i Giardini sono rimasta piacevolmente colpita dall’opera The key in the hand ospitata nel Padiglione del Giappone. L’installazione di Chiharu Shiota è pura arte povera, umile ma geniale, nessuna mania di grandezza ma pacata semplicità: due barche di legno deturpate, chiavi di ferro arrugginite e fili di lana rossi, sottili e tesi come vene.
Un assemblage sintetico che è capace di rendere l’atmosfera viva, calda, disarmante. Lo sguardo dello spettatore resta impigliato fra quei numerosi filamenti che creano un mozzafiato cielo sanguigno che avvolge e accende ogni membra.
Dietro a questa installazione la mente vaga. Mare, onde, intemperie, un viaggio lontano. Migliaia di chiavi, una casa, forse una stanza, o semplicemente ricordi conservati in un diario. Fili, un conduttore, una unione. Toccante suggestione.
All’opposto colloco il mix installativo di Sarah Lucas I scream Daddio, situato nel Padiglione della Gran Bretagna. Se togliessimo le sigarette dagli orifizi di quei calchi femminili di cos’altro parleremmo? Credo che siano meglio collocate in Cigarette Tits del 1999. Questa volta Sarah non mi ha lasciato nulla. Perplessità. Un po’ di fastidio e rabbia.
Attendo con ansia la visita all’Arsenale…
Alice Biondin, nata a Gorizia nel 1986, vive e lavora a Udine http://www.alicebiondin.com